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Il giro del mondo in 80… luoghi comuni

Con Bruegel il Vecchio alla scoperta dei proverbi
flemish art
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Alla Gemäldegalerie di Berlino è esposto un quadro molto divertente di Bruegel il Vecchio.

Un dipinto ad olio dai colori un po’ spenti: 117 x 163 centimetri zeppi zeppi di dettagli accuratissimi, di cui solo i pittori fiamminghi sono capaci.

Densità media di popolazione per millimetro quadrato di tavola: incalcolabile… causa eccessivo sovraffollamento di “abitanti”.

Decine e decine di personaggini che accalcano la scena generale, a comporre altrettante micro-scenette. Tutti affaccendati in occupazioni diverse, molte delle quali, all’apparenza, piuttosto strampalate.

Colpisce la modernità dell’opera. Che, se non fosse che – in basso a destra – reca la firma autografa Bruegel 1559, si potrebbe tranquillamente confondere con uno dei primi storyboard per macchina da presa, ingiallito (anzi – nel caso de quo incupito) dal passare degli anni.

Oltre un’ottantina di sequenze sparse, a convergere in un unico tema: la rappresentazione illustrata dei proverbi della tradizione orale.

Una sorta di compendio iconografico dei più diffusi modi di dire dell’epoca. Alcuni ormai in disuso, altri pervenuti incredibilmente pari pari fino ai giorni nostri.

Un fantastico viaggio alla Jules Vernes nella saggezza popolare attraverso il tempo, che spazia - senza confini di spazio - dal “Mettere il bastone tra le ruote” al “Pesce grande mangia pesce piccolo”.

Perché anche nell’Olanda del XVI secolo si diceva proprio così.

Così come, per indicare il goffo tentativo di giustificare una situazione critica, si diceva “Arrampicarsi sugli specchi” o, per rendere l’idea di quanto ci si sentisse sprecati rispetto ad un contesto, si utilizzava il colorito ma efficace “Perle ai porci”.

Ed ancora tante altre espressioni (spesso archiviate frettolosamente come banali luoghi comuni), che in realtà contengono ancestrali verità e sono di prezioso insegnamento. Si intravede infatti quasi un intento didascalico in questa specie di atlante visuale che Bruegel assembla, con precisione di cartografo, discostandosi nettamente dal resto della sua stessa produzione artistica.

Roba strana per uno come lui, il cui marchio di fabbrica rimane (nell’immaginario collettivo) “quello” degli innevati paesaggi fiabeschi, in cui leggiadri pattinatori dalle svolazzanti sciarpe scivolano-librano-volteggiano sui laghetti, ghiacciati dal rigore invernale.

Che ormai, se vuoi vedere l’inverno comme il faut, non ti resta che cercarlo nei suoi quadri. Perché … “Non ci sono più le stagioni di una volta”.