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Lo stalker e le sue querele

Lo stalker e le sue querele
Lo stalker e le sue querele

1. Premessa

Che tipo di rapporto passa tra l’uomo e la donna dal momento in cui si determina un rapporto cosiddetto amoroso? Possiamo dire fin d’ora che tale rapporto non ha nulla a che fare col “diritto naturale”.  La ricerca sociologica sulla secolare subordinazione della donna all’uomo ha rilevato un percorso abbastanza chiaro. Da società pre-patriarcali si è passati a società soprattutto patrimoniali. E in questa profonda mutazione i rapporti degli uomini con le cose e degli uomini  tra loro, da fluidi che erano, si sono solidificati nella massima parte in rapporti di appartenenza. Non escluso il rapporto amoroso. “Sei mia” è la condanna antica e seducente.

Ma che nonostante l’evoluzione dei tempi si accenni ancora ad uno “jus naturale” riferito al rapporto uomo-donna, non è del tutto senza motivo. Infatti, non di rado assistiamo ancora oggi ad episodi sconcertanti che potrebbero renderci perplessi. L’uomo che perseguita o che uccide la donna che gli sfugge (la violenza di genere è strutturale) non sempre si nasconde, non sempre nega e si difende, ma a volte addirittura si consegna alle autorità con un comportamento sociologicamente anomalo. Perché accade questo? L’uomo sa bene di aver violato la legge, ma nello stesso tempo nel  profondo sente di essere giustificato per una norma, per dir così, superiore, “naturale”, che gli dà la sensazione di un “ben fatto”.

Se infatti la donna fa parte del patrimonio morale dell’uomo, come lui pensa e crede, allorché si profila una criticità, egli avverte tutto il diritto e anche il dovere di intervenire, sino, se del caso, a sacrificare l’oggetto del turbamento. Ad un “giusto per legge” sente opporsi un prevalente “giusto per natura”. In realtà, solo l’acquisita appartenenza e non altro lo muove: se agisse per amore, come egli afferma, mirerebbe a convincere la riottosa, laddove con la maligna persecuzione egli tenta un misero recupero crediti. Così, attraverso questa via sembra fare nuova apparizione, ma per sordido egoismo, la dicotomia arcaica del doppio giusto (Antigone).

La realtà è tutta diversa.

La dicotomia non solo ha difficoltà a materializzarsi, ma in questo caso è del tutto estranea e malamente invocata. Evoca un paravento trasparente che vorrebbe celare la necessità in forma di assolutoria legacy.

Per aiutare l’uscita dall’ombra interviene allora il diritto positivo. Molti provvedimenti in tal senso sono stati emanati durante l’ultimo secolo con la certezza illuministica che lo Stato possa agevolare, con la sua forza dissuasiva, la maturazione della società, adeguandosi “al ruolo pedagogico della Nazione nella formazione del cittadino” (Furet).

2. Gli interventi normativi

Per il diritto tutto questo magma di relazioni interpersonali che la sociologia si sforza di dipanare, è sempre stato fonte di problemi e di incertezze.

Finalmente, con la legge 23 aprile 2009 n. 38 il nostro ordinamento si è dotato di un importante strumento avente lo scopo di intervenire prima che la situazione precipiti in più gravi eventi. Ci riferiamo alla introduzione del nuovo reato (art. 612 bis c.p.) rubricato come “Atti persecutori” (stalking, per chi ha in uggia il Manzoni).

Secondo tale norma, sono stati resi punibili, a querela di parte con termine dilatato, gli atti persecutori commessi in odio di soggetti deboli – scilicet donne – e cioè tutte quelle condotte reiterate di minaccia o molestia che cagionino ansie o paure come bene specificate al comma 1. La querela è remissibile a meno che gli atti non siano stati commessi nei confronti di minori o di disabili o quando  siano connessi con altri reati perseguibili d’ufficio.

Bene inoltre il Legislatore ha fatto nel non descrivere minuziosamente il contenuto delle possibili condotte, potendosi e dovendosi esse ricavare a ritroso dagli eventi realizzatisi, filtrati attraverso l’uso della minaccia o della molestia, che per valore è stata elevata a più alta offensività.

Quanto alla previsione della querela che la parte offesa deve presentare contro chi la perseguita, qualcuno che non ha frequenti occasioni di conoscere le situazioni talora devastanti dello stalking, ha sostenuto che tale previsione risponde alla “esigenza di lasciare libere le donne di valutare se la strada giudiziale possa essere la migliore”.

Noi non concordiamo, siamo convinti che per una persona tormentata da chi ha capacità di intimidazione e di aggressione, dover sporgere una querela non è tanto espressione di libertà quanto il compimento di un atto formale compromettente che sgomenta.

Incertezze, dubbi, paura di peggiorare le cose: chiamare in causa leggi e tribunali per problemi personali e intimi spesso per le persone semplici e fragili è buona ragione per rinunciare all’iniziativa. Piuttosto si preferisce sperare in un ravvedimento spontaneo, pietoso e risolutivo. L’unico vantaggio offerto dalla querela può consistere nell’avere la vittima, con la possibilità della remissione, un certo potere diciamo di ricatto per porre termine a ciò che la tormenta.  Tuttavia, l’esperienza di vita insegna che si tratta di una speranza quasi sempre destinata ad andare delusa. Ma tant’è.

Nel 2011 una Convenzione sottoscritta ad Istanbul ha imposto agli Stati partecipanti, tra cui l’Italia, di accrescere le difese delle donne, in particolare col rendere più difficile proprio la revocabilità delle querele.

L’Italia ha ratificato la Convenzione e di seguito ha emanato la legge 15 ottobre 2013 n. 119, nota come legge sul femminicidio.

In questa il Legislatore, approfittando dell’occasione, è intervenuto nuovamente sul reato di stalking e precisamente sulla questione della procedibilità a querela, aggiungendo all’art. 612 bis alcune disposizioni tra le quali quella che stabilisce che la remissione della querela deve essere solo “processuale” e che comunque la stessa sarà “irrevocabile” se i fatti sono stati commessi mediante minacce reiterate nei modi di cui all’art. 612, comma 2, c.p. (con armi, ecc.).

Disposizioni talmente ovvie che ci si chiede come mai non fossero state incluse nella normativa originaria del 2009. In particolare, il termine “processuale”  fu subito interpretato (la legge dispone, il giurista decifra) nel senso che la remissione doveva avvenire pubblicamente nel corso del processo con una ufficialità che avrebbe conferito alla stessa maggiore importanza di fronte al querelato-beneficato. Invece la Cassazione ha chiarito che secondo il nostro diritto il termine “processuale” comprende anche la competenza degli ufficiali di PG (Cass. n.16669 del 08/04/2016) sguarnendo in tal modo la remissione della originaria solennità. Questo accade quando si fa indossare al diritto il vestito tutto toppe da Arlecchino invece che il manto monocolore di un Pierrot.

Con la stessa legge è stato anche previsto un intervento particolare – ancora un’altra losanga nel vestito variopinto. Si è consentito infatti l’arresto obbligatorio in flagranza per stalking sia su ordine del giudice sia “d’urgenza” su iniziativa della polizia giudiziaria. E il giudice poi può anche far seguire la misura, definita pre-cautelare, del divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla parte offesa.

Insomma, le cose si stavano mettendo, anche se a singhiozzo, nel verso giusto contro questa  piaga sociale dalle radici, affondate nell’irrazionalità e nell’egocentrismo, difficilmente estirpabili. Sennonché…

3. L’ammonimento del questore

Sennonché, il Legislatore, spinto dalla necessità di compiere una ampia deflazione del lavoro degli organi giudiziari e di velocizzare in qualche modo i processi penali, è recentissimamente intervenuto con la legge 27 giugno 2017 n.103 (nota come Riforma Orlando) applicando sul tessuto ormai piuttosto stramato del nostro sistema penalistico, diverse nuove norme.

Muovendosi sulla falsariga di quanto già sperimentato con l’art. 35 legge sul Giudice di Pace, è stata approvata, tra le altre, una innovazione di valenza generale con l’art. 162 ter c.p. rubricato come “Estinzione del reato per condotte riparatorie”.

La norma di notevole rilievo pratico inaugura un sistema di chiusura veloce dei processi aventi per oggetto reati di scarso allarme sociale e di scarsa dannosità (reati bagatellari, si pensi ai furti nei supermercati).

In pratica, si stabilisce che nei casi di reati perseguibili a querela remissibile, se il querelato elimina le conseguenze dannose o pericolose dei propri atti e risarcisce il querelante, il giudice, valutata congrua tale “condotta riparatoria”, anche se il querelante non è d’accordo, dichiara estinto il reato e tutto finisce lì. E la querela della parte offesa? Rimessa d’autorità, forse, o volata sulla luna dove si raccolgono tutti i “vani disegni che non han mai loco” come ci svela l’Ariosto.

Questo sistema, sicuramente utile per evitare lunghi processi per affari minimi, ha fatto tuttavia  esplodere involontariamente un problema grande. Infatti, non ci si è accorti (il biasimo è inevitabile) che dentro il cesto dei reati bagatellari ci cadeva anche il reato di stalking. Forse è stata la sanzione davvero non eccessiva rispetto alla gravità del reato (massimo 4 anni, poi – altra losanga – portati a 5 anni di reclusione) a metterlo in compagnia dei bagatellari.

Comunque, è evidente che, se tale procedimento sommario può essere apprezzabile per i reati minimi, certamente non può esserlo per il reato di grande pericolosità e gravità quale è lo stalking. La drammatica realtà che sottende alle condotte persecutorie, nella progressione punitiva e vendicativa che le anima, le fa spesso scivolare nel femminicidio. Un caso solo: una donna disperata, ossessivamente perseguitata, ha cambiato casa, ha cambiato città con tutto quello che comporta, rintracciata, è stata uccisa. L’atto persecutorio è punito dalla legge penale non solo in quanto tale, ma, data la propensione dell’agente alla esaltazione psicotica, anche come dissuasore per ulteriori e più gravi eventi criminosi (v. la “prevenzione” della Convenzione di Istanbul).

Nei fatti, con la nuova normativa cosa può accadere?

Che lo stalker-querelato che elimina le conseguenze dei suoi atti e risarcisce la querelante (senza molto sforzo se benestante) si vedrà estinguere il proprio reato anche con il dissenso della vittima. E poiché a tale procedura potrà ricorrere illimitatamente, l’effetto dissuasivo della sanzione sarà assai affievolito. Tra l’altro, la qualificazione di “remissibile” di una querela è, in particolare nel nostro caso, quanto mai fallace, visto che non pochi femminicidi sono avvenuti nel corso di atti persecutori che sarebbero stati giudicati fino a quel momento non particolarmente gravi (ex art. 612, comma 2).

Quanto ai possibili risarcimenti, di solito non sono mai l’obbiettivo primario della querela per il reato di stalking e comunque riguarderebbero più che altro i danni esistenziali (oggettivi) e i danni  morali (soggettivi) cagionati da una condotta illecita (verosimilmente di natura aquiliana).

In proposito, una critica non indifferente è stata rivolta alla norma riguardante i poteri del giudice in ordine al suo giudizio sulla congruità del risarcimento dato od offerto dal querelato, congruità, si noti bene, sulla quale egli poi fonderà l’atto di estinzione del reato. La legge (anche qui dimenticanza?) non ha previsto nessun parametro al quale il giudice debba riferirsi nella sua importante valutazione.              

Associazioni femminili e sindacati hanno fatto rilevare al Ministro della Giustizia il naturale depotenziamento della lotta contro la violenza sulle donne determinato dalla  mancata esclusione  dello stalking dai casi ex art. 162 ter, e il Ministro ha assicurato un suo rapido intervento. Sennonché, qui cade acconcio un ricordo. Ciò potrebbe fare il paio con quanto disse alla TV il Ministro (la Ministra? ma è una funzione non un appellativo!) della Giustizia dell’epoca quando le fu fatto notare che diminuire le sanzioni della concussione per induzione rispetto alla rarissima concussione per costrizione significava andare contro la pretesa lotta alla corruzione in generale, ella rispose “Può essere. Ma si può sempre rimediare”. Si era nel 2012 e si rimediò nel 2015.

Orbene, la vittima ha tutto l’interesse a che il processo si concluda non con una dichiarazione unilaterale di estinzione del reato per condotte riparatorie, tutta a favore del querelato vista la inutilità dell’eventuale dissenso della parte offesa, ma con sentenza di condanna (essenziale un precedente a carico del persecutore). Per ottenere ciò occorre trovare il modo, anche con la normativa attuale, di sottrarre la querela per stalking alla possibilità della remissione o meglio ancora – e sarebbe il massimo – di far sì che si dovesse sempre procedere d’ufficio.

In attesa dei prossimi provvedimenti del Legislatore, pensiamo che, nonostante la scarsa linearità delle disposizioni legislative, il modo per raggiungere gli scopi indicati si possa effettivamente trovare. 

L’art. 8 della citata legge n. 119 del 2013 sul femminicidio ha introdotto un altro istituto diretto ad integrare espressamente – ancora una losanga – il reato di stalking: l’Ammonimento del Questore. Stabilisce la nuova norma che la vittima degli atti persecutori, prima di presentare querela, può inoltrare un Esposto al Questore, il quale, seguendo la procedura  prevista, convoca l’interessato e, se del caso, gli rivolge l’“invito” a ”tenere una condotta conforme alla legge”.

La genericità della prescrizione l’ha fatta sottovalutare alquanto: si è perfino censurato il fatto che il colloquio avviene in assenza di un legale che assista il convocato. Cosa alla quale è stato acutamente ribattuto da un giudice amministrativo che proprio la ovvietà, diciamo, della prescrizione esclude ogni lesione di diritti o imposizione di doveri speciali, e quindi anche la necessità della presenza di un difensore.

Ebbene, nonostante la sfumata rilevanza dell’Ammonimento, esso produce comunque una conseguenza importantissima che può sopperire indirettamente alla inefficacia di una querela sempre superabile dalla deludente dichiarazione di estinzione del reato. Difatti, il comma 4 di detto art. 8 sancisce con assoluta chiarezza che per il reato di cui all’art. 612 bis c.p. (stalking) quando il fatto è stato commesso da un soggetto che sia già stato ammonito “si procede d’ufficio”.

Ecco quindi la traccia da percorrere.

La parte offesa inizia, forse anche più fisiologicamente, il percorso di tutela legale invece che con una querela, con l’Esposto al Questore che nella maggior parte dei casi sfocerà in un Ammonimento.

A questo punto si aprono due strade: la prima, che l’uomo, intimorito, abbandoni ogni velleità di persecuzione e la donna avrebbe così raggiunto rapidamente la pace; la seconda, che l’uomo, come più probabile, prosegua nella sua attività persecutoria e allora una successiva querela o denuncia ricadrà nella previsione del citato comma 4 dell’art. 8, per cui si dovrà, per obbligo di legge, procedere d’ufficio, proprio come sperato dalla vittima.

Non solo, ma le probabilità che si ottenga una sentenza di condanna sono alte, tenuto conto, oltre che delle prove addotte dalla parte offesa, anche della motivazione posta alla base del precedente provvedimento del Questore. E l’affannoso problema della querela revocabile o meno sarebbe aggirato. Da lì in avanti per l’uomo la strada sarà tutta in salita e chissà che gli manchi il fiato per continuare.